giovedì 29 dicembre 2011

ACE: che cos’è e come funziona


Con l’art. 1 del decreto legge avente l’oggetto le disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici è stato introdotto, con effetto dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2011 e quindi – per la generalità dei soggetti, il cui periodo d’imposta coincide normalmente con l’anno solare – con decorrenza già dall’anno in corso, un trattamento fiscale agevolato (denominato ACE: aiuto alla crescita economica) alle imprese il cui capitale proprio viene incrementato mediante conferimenti in denaro e accantonamenti di utili a riserva.
Tale regime agevolato riecheggia la disciplina della cosiddetta “DIT” (dual income tax), che fu introdotta nell’ordinamento tributario italiano dal D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 466 e trovò applicazione fino al 2003, e trae origine dall’esigenza sia di rilanciare lo sviluppo economico del Paese e di fornire un aiuto alla crescita attraverso una minore imposizione dei redditi d’impresa, sia di evitare che la tassazione di questi redditi risulti nella sostanza inferiore se il finanziamento delle imprese ha luogo principalmente attraverso l’accensione di mutui onerosi piuttosto che mediante conferimenti di denaro da parte dei soci o dei titolari delle imprese stesse. Infatti, la disciplina fiscale del reddito d’impresa fino ad oggi applicabile escludeva benefici per le imprese finanziate mediante apporti di capitale proprio, poiché da essi non discendevano né deduzioni né tassazioni con aliquote ridotte, mentre gli interessi corrisposti in relazione ai mutui ricevuti erano (e peraltro continuano ad essere) deducibili ai fini della determinazione del reddito d’impresa, seppur entro i limiti – invero spesso assai angusti – stabiliti dall’art. 96 TUIR, originando quindi un risparmio d’imposta pari ad una quota degli interessi stessi corrispondente al tasso dell’imposta sul reddito dell’impresa (al 27,5%, pertanto, per le società di capitali), indipendentemente dal fatto che i soci o i titolari delle imprese mutuatarie impiegassero a titolo personale propri capitali in investimenti mobiliari, i cui proventi erano tassati con l’imposta sostitutiva del 12,50%. Ne derivava, in sintesi, per le imprese finanziate mediante mutui onerosi anziché con capitale proprio, un vantaggio corrispondente alla differenza tra il tasso d’imposta a esse applicabile e quello dell’imposta sostitutiva sui redditi di natura finanziaria applicabile in capo ai soci delle stesse.
Tale arbitraggio è destinato ora a venire meno, sia a seguito della elevazione dell’imposta sostitutiva relativa ai redditi da ultimo richiamati, che – in virtù di altre disposizioni recentemente introdotte – dal 1° gennaio 2012 è incrementata al 20%, sia grazie all’introduzione della norma in commento, la quale consente una deduzione, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, connessa agli apporti di capitale proprio eseguiti dai soci o dai titolari delle imprese.
Detta deduzione è pari, così come recita l’art. 1 del decreto legge, all’importo corrispondente al rendimento nozionale del nuovo capitale proprio”, il quale è il risultato della moltiplicazione dei due fattori qui di seguito indicati:
1) di un apposita aliquota percentuale che verrà determinata con decreto del Ministro dell’Economia e delle finanze da emanarsi entro il 31 gennaio di ogni anno, tenendo conto dei rendimenti finanziari medi dei titoli obbligazionari pubblici, aumentabili di ulteriori tre punti percentuali a titolo di compensazione del maggior rischio dei finanziamenti, in quanto destinati ad un soggetto che svolge un’attività imprenditoriale;
2) dell’ammontare dell’incremento del capitale proprio dell’impresa originato, nel corso di un periodo d’imposta, dall’esecuzione di conferimenti in denaro e dall’accantonamento degli utili a riserva (con esclusione, peraltro, di quelli destinati a riserve non disponibili), al netto delle riduzioni del patrimonio netto discendenti da attribuzioni ai soci o ai titolari delle imprese, effettuate tanto a titolo di distribuzione di utili quanto di assegnazione di altre parti del patrimonio netto, degli acquisti di partecipazioni in società controllate e degli acquisti di aziende o di rami di aziende (la esclusione di acquisti di partecipazioni e di aziende trova giustificazione nell’esigenza di evitare effetti moltiplicativi del beneficio di cui trattasi, che potrebbero generarsi soprattutto all’interno di gruppi di imprese, ove il medesimo denaro ricevuto in conferimento da una società potrebbe essere da quest’ultima utilizzato per eseguire conferimenti in denaro in una società controllata e da questa, a sua volta, impiegato per eseguire un ulteriore conferimento in denaro in un’altra società controllata, e così via, dando luogo, grazie ad un unico reale conferimento, a una pluralità di conferimenti e quindi di deduzioni).
I conferimenti che rilevano sono rappresentati da tutti quegli apporti di mezzi propri che si risolvono in un aumento della liquidità, anche se diversi dall’aumento del capitale nominale, quali, ad esempio il versamento di un sovrapprezzo, un versamento in conto capitale, un versamento a fondo perduto, un versamento per copertura di perdite. Non rilevano quindi i conferimenti in natura. Rilevano invece, come detto, gli accantonamenti di utili a riserva, in quanto attraverso essi viene evitata la distribuzione degli utili prodotti e quindi una riduzione di liquidità, producendo un effetto analogo a quello derivante dai conferimenti in denaro; per tali ragioni tali accantonamenti dovrebbero rilevare indipendentemente dalla natura della riserva cui sono destinati e quindi anche se sono accantonati nella riserva legale o in una riserva vincolata, purchè non si tratti di riserve non disponibili, le quali non sono del resto formate con utili effettivamente realizzati.
I conferimenti in denaro rilevano a partire dalla data del loro versamento, mentre quelli derivanti dall’accantonamento degli utili a riserva assumono rilevanza a partire dall’inizio dell’esercizio in cui la riserva è formata; i decrementi rilevano invece a partire dall’inizio dell’esercizio in cui si verificano. Ciò significa che se un apporto è eseguito, ad esempio, il 1° dicembre di un determinato periodo, esso concorre alla formazione dell’incremento del capitale proprio di tale periodo, non per il suo integrale ammontare, ma solo per i 31/365 dello stesso, pur rilevando in misura integrale ai fini del calcolo dell’incremento del capitale proprio rilevante per i periodi d’imposta successivi.
E’ infatti da ritenersi che gli incrementi e i decrementi sopra indicati rilevino non solo per il periodo in cui hanno luogo, ma anche per quelli successivi, rispetto all’entità del patrimonio netto risultante dal bilancio relativo all’esercizio in corso nel primo anno di applicazione del regime agevolato, determinata senza tener conto dell’utile di tale esercizio. Per le imprese di nuova costituzione tutto il patrimonio conferito in denaro costituisce, per espressa disposizione di legge, incremento di capitale proprio e quindi origina per intero il beneficio di cui trattasi.
Le nuove disposizioni si applicano alle società di capitali e agli enti commerciali residenti in Italia, alle società di capitali e agli enti commerciali non residenti limitatamente alle stabili organizzazioni residenti nel territorio dello Stato e anche - sulla base di apposite modalità che saranno stabilite con un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di prossima emanazione - alle imprese individuali e alle società di persone in regime di contabilità ordinaria.

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