mercoledì 6 giugno 2012

IMU - QUANDO E COME SI PAGA

L'Imu è entrata in vigore dal 1 gennaio 2012 e ha sostituito sia l'Ici, sia l'Irpef sui redditi fondiari (sugli immobili non affittati). Ecco di seguito le scadenze per il pagamento e le modalità per saldare la nuova tassa.
Quando pagare
L'Imu sulla prima casa - quella considerata quale abitazione principale, che può essere una sola a nucleo familiare - si paga in tre rate, con scadenze il 16 giugno, 16 settembre e 16 dicembre.
Al momento dell'acconto, il 16 giugno, bisogna pagare un terzo (33 per cento) di quanto dovuto se si applicasse l'aliquota base del 4 per mille, tenuto conto delle detrazioni di 200 euro per la prima casa e di 50 euro a figlio, purché minore di 26 anni e residente con la famiglia, in numero massimo di 4 figli. Nel 2012 si può pagare fino al 18 giugno, perché il 16 capita di sabato.
La seconda rata, entro il 16 settembre, deve essere uguale all'acconto. Nel 2012 si può pagare fino al 17 settembre, perché il 16 capita di domenica.
La terza rata, entro il 16 dicembre, è a conguaglio e tiene conto dell'aliquota definitiva decisa dal Comune nel quale si trova l'immobile. Nel 2012 si può pagare fino al 17 dicembre, perché il 16 capita di domenica.
Per le seconde case, e tutti gli altri immobili diversi dall'abitazione principale, rimangono invece modalità analoghe all'Ici, cioè due sole rate:
il 50 per cento il 16  giugno, calcolato sull'aliquota base del 7,6 per mille;
il rimanente entro il 16 dicembre, calcolato tenuto conto dell'aliquota effettiva stabilita dal Comune.
Come per la vecchia Ici, l'Imu è dovuta in proporzione al periodo di possesso nel corso dell'anno, per cui andranno rapportati i mesi effettivi di possesso. Nel caso in cui il possesso si prolungasse per oltre 15 giorni in un mese, sarà necessario considerare l'intero mese.
Per le case acquistate nel corso del 2012, è anche necessario presentare la dichiarazione Imu, entro il 30 settembre.

mercoledì 7 marzo 2012

Incombe l'Ici sugli agricoli con effetto retroattivo


Gli effetti del decreto salva-Italia sul trattamento fiscale dei fabbricati rurali sono abbastanza chiari per quel che riguarda l'Imu, mentre suscitano molti interrogativi per quel che riguarda l'Ici.
Per l'Imu è evidente l'imponibilità dei fabbricati rurali, con aliquota ridotta per quelli che hanno i requisiti di abitazione principale e aliquota base per gli altri (salvi interventi agevolativi dei Comuni), mentre per gli immobili rurali strumentali vi è l'applicazione dell'apposita aliquota ridotta. L'individuazione di questi ultimi sarà possibile grazie al classamento in D/10 sia in seguito alla procedura innescata dal Dl 70/2011 che con i Docfa. In questo modo il legislatore ha accolto la tesi della Cassazione a sezioni unite n. 18565 del 2009: la ruralità dei fabbricati è comprovata dal loro classamento nelle apposite categorie catastali. Ha anche risolto il problema posto dall'agenzia del Territorio rispetto alla collocazione delle abitazioni nella categoria A/6. Resta il problema dei requisiti necessari per il riconoscimento della ruralità, ai fini dell'accatastamento, per i fabbricati a destinazione strumentale.
Molto più significativi potrebbero essere gli effetti del salva-Italia sull'Ici. L'introduzione della procedura di riconoscimento dei requisiti di ruralità da parte del Dl 70/2011 aveva spinto a ipotizzare una valenza retroattiva alla procedura stessa sulla base della richiesta del possesso dei requisiti di cui al comma 3 e 3-bis dell'articolo 9 del Dlgs 557/93 da almeno cinque anni. La tesi non era sostenibile in quanto la norma non prevede la validità retroattiva del nuovo classamento e una sua interpretazione estensiva sarebbe stata in contrasto con la costante giurisprudenza della Cassazione (n. 10646/2005 e n. 6627/2009) che ammette solo l'eventuale retroattività alla data di presentazione della denuncia (n. 12029/2009).
Il dubbio è tuttavia superato dal ripristino operato con il Dl 201/2011 con l'abrogazione della norma di interpretazione autentica che esclude l'imponibilità Ici dei fabbricati rurali. La Cassazione, in un'occasione molto simile relativa agli effetti determinati dall'abrogazione di una norma di interpretazione autentica (sentenza n. 13319/2006) ha affermato: «La natura interpretativa della norma di cui al citato comma... ne comporta la conseguente retroattività: la successiva norma abrogatrice non può che avere la medesima efficacia, retroagendo anch'essa al tempo della norma anteriore interpretata... in altri termini, l'intervenuta abrogazione ha reso la norma interpretativa, se così si può dire, una norma inutiliter data, restituendo inalterata la situazione alla precedente contrapposizione ermeneutica tra i diversi significati possibili attribuiti alla norma interpretata». Pertanto, l'abrogazione della norma di interpretazione autentica ripristina l'eventuale contrasto interpretativo preesistente.
Nel caso specifico, date le caratteristiche di fatto innovative della norma interpretativa, non ci sono dubbi circa la portata della norma (articolo 2, comma 1, lettera a) del Dlgs 504/92), che prevede l'imponibilità ai fini Ici di tutti i fabbricati iscritti o iscrivibili a catasto, compresi quindi anche i rurali. L'abrogazione ha valenza retroattiva, come chiarito dalla Cassazione, per cui appare del tutto irrilevante il fatto che la norma di abrogazione sia entrata in vigore il 1° gennaio 2012 e non il giorno della pubblicazione del decreto.
Sulla scorta di quanto sopra sembra quindi preferibile la tesi del ripristino dell'imponibilità dei fabbricati rurali ai fini Ici con valenza retroattiva

Verifiche fiscali, libero accesso presso locali utilizzati da ENC e Onlus


I militari e gli impiegati civili dell’Amministrazione finanziaria possono accedere, previa semplice autorizzazione del comandante o del capo ufficio, presso i locali utilizzati dagli enti non commerciali e dalle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS). A prevederlo è il Decreto “semplificazioni fiscali” (DL 16/2012), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 marzo scorso.
Come noto, la disciplina del potere di accesso presso i locali dei contribuenti è recata, ai fini IVA, dall’articolo 52 del DPR 633/1972, a cui peraltro rimanda l’articolo 33 del DPR 600/1973, per quanto concerne le imposte dirette. L’art. 52 citato individua sostanzialmente tre distinte categorie di locali di accesso, che risultano graduate in funzione della tutela offerta dall’ordinamento al soggetto sottoposto a controllo: nei locali destinati soltanto all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, i verificatori possono accedere previa semplice autorizzazione del capo ufficio o comandante del corpo da cui dipendono; qualora i predetti locali siano, però, contestualmente adibiti anche ad abitazione (“ad uso promiscuo”), l’accesso richiede, oltre alla summenzionata autorizzazione “interna”, anche quella del Procuratore della Repubblica, che tuttavia si configura nella sostanza come un “atto dovuto”; infine, vi è la categoria “residuale” di accesso presso i “locali diversi da quelli indicati” in precedenza (abitazione, in primis), per cui è previsto che il potere in oggetto possa essere esercitato soltanto in presenza dell’autorizzazione “interna” e di quella del Procuratore della Repubblica, che però, in tale ipotesi, può essere rilasciata “soltanto in caso di gravi indizi di violazioni” delle norme tributarie.
L’accesso presso i locali degli enti non commerciali e delle Onlus, prima del Decreto sulle semplificazioni fiscali, era equiparato, come precisato nella relazione illustrativa, a quello presso il domicilio privato di un contribuente e, quindi, s’inseriva nella categoria residuale sopra illustrata. Pertanto, l’accesso presso tali enti, sotto il profilo della prassi operativa, era molto difficoltoso, atteso che richiedeva a priori che l’Amministrazione finanziaria individuasse i gravi indizi di violazione delle norme tributarie per ottenere l’autorizzazione all’accesso dal PM.
Con l’articolo 8, comma 22, del DL 16/2012, il Legislatore ha modificato il citato articolo 52 del DPR 633/1972, inserendo tra i locali appartenenti alla categoria per cui è necessaria la sola autorizzazione “interna” del capo ufficio o del comandante, ossia quelli destinati ad attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, anche “quelli utilizzati dagli enti non commerciali e da quelli che godono dei benefici” di cui al DLgs. 460/1997 (si tratta delle agevolazioni previste dall’articolo 111-ter del TUIR, relative all’esenzione da imposte sul reddito, nonché dall’articolo 10 del DPR 633/1972, per talune esenzioni IVA).
Nella relazione illustrativa al DL 16/2012 è stato osservato che tale intervento si è reso necessario perché la particolare veste giuridica degli enti non commerciali e delle Onlus è stata “spesso indebitamente utilizzata” da soggetti che hanno mascherato vere e proprie attività commerciali, al fine di fruire delle agevolazioni fiscali previste dallo specifico regime di tali enti.

Tirocinio professionale a 18 mesi


Sulla riduzione del tirocinio professionale ad un massimo di 18 mesi, sancita dal Decreto liberalizzazioni (DL n. 1/2012), permangono forti perplessità. Lo dimostrano le richieste di chiarimenti inoltrate al CNDCEC dagli Ordini locali, poi confluite in una lettera che lo stesso Consiglio nazionale ha inviato ai Ministeri competenti – Giustizia e Università – lo scorso 28 febbraio 2012.
L’art. 9, comma 5 del Decreto liberalizzazioni stabilisce espressamente che la durata del tirocinio valido per l’accesso alle professioni regolamentate non possa essere “superiore a 18 mesi”, con la possibilità di svolgere i primi sei mesi, previa convenzione quadro tra MIUR e vertici di categoria, “in concomitanza col corso di studio” finalizzato al conseguimento di una laurea breve o della laurea magistrale/specialistica. Inoltre, è possibile siglare una convenzione con il Ministero della P.A. per svolgere il tirocinio nel pubblico. Il Decreto liberalizzazioni ha soppresso, infine, alcune disposizioni del DL n. 138/2011, tra cui l’obbligo di corrispondere al tirocinante “un equo compenso di natura indennitaria”.
Mentre, per quanto riguarda il tirocinio degli avvocati, la riduzione risulta di “soli” sei mesi (a fronte di una durata di due anni), ben maggiori sono le ricadute per i commercialisti, il cui praticantato viene così addirittura dimezzato. Senza dimenticare che l’intervento normativo rende obsoleta la convenzione quadro MIUR-CNDCEC stipulata nel novembre 2010, in base alla quale – dei tre anni complessivi di tirocinio – i primi due possono essere svolti contestualmente al corso di laurea specialistica/magistrale, e il terzo sotto la guida di un dominus.
Come si evince dall’Informativa n. 20/2012 del Consiglio nazionale, i dubbi principali riguardano la mancata previsione di una fase transitoria. Il termine ultimo per l’applicazione delle novità sulle professioni è fissato dal DL n. 138/2011 (conv. dalla L. n. 148/2011) alla data del prossimo 13 agosto 2012, ossia ad un anno esatto dall’entrata in vigore dello stesso DL. Ci si chiede, in ogni caso, se la riduzione del tirocinio di cui al DL n. 1/2012 – intervenuto in seguito appoggiandosi proprio al DL n. 138/2011 – sia da considerarsi immediatamente applicabile o meno.
A favore della tesi dell’applicabilità non immediata pende essenzialmente il fatto che il DL 138/2011 demanda a un DPR – da emanare entro e non oltre il 13 agosto 2012 – la riforma degli Ordini professionali, in sostanza mantenendo in vigore le regole attuali fino ad allora. D’altra parte, evidenzia il CNDCEC nella lettera ai Ministeri, il decreto legge non è uno strumento atto a dettare semplici norme di principio, perciò si potrebbe desumere che la norma del DL n. 1/2012 sia immediatamente percettiva.
Un’eventualità, quest’ultima, che secondo il Consiglio nazionale potrebbe comportare conseguenze “problematiche”. All’atto pratico, la prima delle questioni aperte concerne il caso dei tirocinanti che, alla data di entrata in vigore del DL n. 1/2012, avessero già compiuto 18 mesi di praticantato. Ciò tenendo conto, soprattutto, della Convenzione quadro MIUR-CNDCEC, che attualmente consente di poter svolgere i primi due anni durante l’ultimo biennio di università. Due le possibilità: la prima è che valga la normativa vigente al momento dell’iscrizione del Registro del tirocinio, e che quindi sia comunque obbligatorio completare i tre anni; la seconda, invece, stabilisce che il tirocinio possa concludersi in 18 mesi, svolti in concomitanza del corso universitario specialistico, senza perciò nemmeno aver ottenuto la laurea di secondo livello.
Restando ai problemi del “periodo transitorio”, rimane poi da capire come muoversi nei confronti dei tirocinanti che si siano iscritti nell’apposito Registro dopo il 24 gennaio 2012, data di entrata in vigore del DL n. 1/2012. Il Consiglio nazionale ipotizza che non possano più svolgere il praticantato ex Convenzione quadro MIUR-CNDCEC e che sia necessario siglarne quanto prima una nuova che tenga conto delle novità.
Evidente il vuoto normativo: non resta che sperare in una rapida risposta ministeriale.

lunedì 27 febbraio 2012

IMU SUGLI IMMOBILI COMMERCIALI DELLA CHIESA NEL DECRETO LIBERALIZZAZIONI


Nessun passo indietro: le attese novità per l’esenzione ICI/IMU sugli immobili degli enti non commerciali, non ultima la Chiesa, arriveranno. Non nel DL semplificazioni fiscali, ma attraverso un emendamento al DL n. 1/2012 (DL liberalizzazioni), attualmente in fase di conversione.
L’annuncio ufficiale è arrivato ieri, in Consiglio dei Ministri, per bocca del Premier Mario Monti: l’emendamento è già stato presentato al Senato e “intende garantire la massima tempestività nell’attuazione degli auspici della Commissione europea”; in tempo, quindi, per permettere alla Commissione Ue di chiudere – è l’auspicio di Monti – la procedura aperta nell’ottobre 2010 per verificare se l’esenzione ICI possa rappresentare una violazione delle norme comunitarie.
L’assenza delle modifiche nella bozza di Decreto sulle semplificazioni fiscali aveva fatto supporre che il Governo, nonostante le rassicurazioni di Monti dei giorni scorsi deciso di soprassedere, almeno per il momento. In realtà, l’Esecutivo ha soltanto preferito intervenire nella conversione di un altro Decreto già emanato, il DL n. 1/2012, alla luce della “stretta attinenza ai temi della concorrenza, della competitività e della conformità al diritto comunitario”.
I principi a cui si dovranno ispirare le modifiche (o meglio, le precisazioni normative) sono gli stessi anticipati lo scorso 15 febbraio al Vicepresidente della Commissione Ue, Joaquin Almunia.
In sostanza, saranno esenti dall’ICI (che confluirà nell’IMU a partire da quest’anno) soltanto gli immobili in cui si svolge un’attività non commerciale in maniera esclusiva. Non saranno dunque esenti quelli in cui l’attività non commerciale sia solo prevalente. Nel caso di immobili a destinazione mista (commerciale e non), sarà espressamente esente da ICI/IMU la sola frazione di unità immobiliare dedicata all’attività non commerciale.
Al fine di stabilire il citato frazionamento, verrà introdotto un meccanismo di dichiarazione vincolata a parametri stabiliti dal Ministero dell’Economia, che dovranno individuare il rapporto proporzionale tra attività commerciali e non commerciali coesistenti nel medesimo immobile.
Stando al comunicato diffuso ieri dal Governo, non sarà peraltro possibile alcuna sanatoria, né diretta né indiretta, per gli accertamenti già in essere e per le relative sanzioni.
Quanto agli effetti sul gettito, l’Esecutivo assicura che saranno “positivi”, ma non avanza ipotesi quantitative sulle maggiori entrate, che “saranno accertate a consuntivo e potranno essere destinate, per la quota di spettanza statale, all’alleggerimento della pressione fiscale”. Secondo alcune stime, comunque, si tratterebbe di una rivoluzione da oltre mezzo miliardo di euro.
E in risposta ai timori che la stretta normativa possa mettere in ginocchio il terzo settore, il Governo sottolinea che le attività non commerciali esercitate dagli enti saranno debitamente “riconosciute e salvaguardate”, tenendo conto della particolare importanza del volontariato per il tessuto sociale nell’attuale crisi economica.
Parole non sufficienti, però, a spegnere le proteste sul nascere. Contrari all’applicazione dell’IMU alle scuole paritarie i Salesiani d’Italia, secondo cui la norma “non sarebbe né giusta, né equa”. Secondo l’ordine (che gestisce 140 scuole in tutto il Paese), le attività con rilievo pubblico, destinate “all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e formazione”, non possono essere considerate commerciali.

SENZA MODIFICHE LE FATTURE NON PAGATE DEGLI EX MINIMI


La fuoriuscita dal regime dei minimi dal 2012 genera qualche problema interpretativo rispetto al trattamento da riservare alle fatture emesse nel corso del regime, ma che verranno pagate nel 2012 (quando, cioè, il contribuente non fruisce più del regime agevolato).
Dal punto di vista reddituale, è stato chiarito che i componenti (ricavi, compensi e spese sostenute) che, seppur di competenza del periodo soggetto al regime dei minimi (ad esempio, del 2011), non hanno formato il reddito imponibile del periodo (ad esempio, perché non hanno avuto manifestazione finanziaria in tale anno), rilevano nei periodi successivi (quindi, nel 2012) nel corso dei quali si verificano i presupposti previsti dal regime dei minimi medesimo, cioè il pagamento del corrispettivo secondo il principio di cassa (circ. Agenzia delle Entrate n. 73 del 21 dicembre 2007). Relativamente al trattamento ai fini IVA, invece, non constano chiarimenti ufficiali.
Per risolvere il problema, è necessario ricordare la disciplina relativa alla fatturazione applicabile ai contribuenti minimi.
Come precisato dalla circ. Agenzia delle Entrate n. 73 del 21 dicembre 2007, i contribuenti minimi hanno l’obbligo di certificazione dei corrispettivi; sulle fatture emesse ai sensi dell’art. 21 del DPR 633/72, deve annotarsi che trattasi di “operazione effettuata ai sensi dell’art. 1, comma 100, della legge finanziaria per il 2008”.
Da ciò emerge che, anche per tali soggetti, la fatturazione è regolata dall’art. 21 citato il quale, quanto all’emissione del documento, fa riferimento al momento di effettuazione dell’operazione, secondo i criteri dell’art. 6 del medesimo DPR, coincidente con:
- il pagamento del corrispettivo, se si tratta di una prestazione di servizi;
- la stipulazione del contratto o la consegna del bene, se si tratta di cessione di beni;
- la data di emissione della fattura, in caso di fatturazione precedente al verificarsi di uno degli eventi sopra indicati o indipendentemente da essi.
Tenendo conto di quanto sopra, nel caso in cui il contribuente minimo abbia emesso fatture senza IVA per operazioni effettuate (secondo i criteri sopra indicati) nel 2011, si ritiene che lo stesso nulla debba fare a seguito della fuoriuscita dal regime in esame dal 2012, in quanto gli obblighi ai fini IVA sono stati correttamente adempiuti seguendo le regole sopra indicate. A tal fine, non rileva che le fatture emesse nel 2011 verranno pagate nel 2012.
Si ipotizzi un professionista che, nel 2011, abbia emesso una fattura per la prestazione resa prima del pagamento del corrispettivo.
In tal caso, ai fini IVA, l’operazione si considera effettuata al momento dell’emissione della fattura senza che rilevi il momento in cui avverrà materialmente il pagamento. Quindi, qualora il pagamento sia effettuato nel corso del 2012, il soggetto nulla dovrà fare rispetto alla fattura in questione, poiché l’operazione, nel momento in cui è stata effettuata, era soggetta al regime agevolato. Resta fermo che, secondo quanto sopra indicato, il compenso concorrerà alla formazione del reddito del 2012.
Quanto sopra indicato vale in tutti i casi in cui il soggetto sia volontariamente fuoriuscito dal regime, oppure escluso dall’anno successivo (ad esempio, dal 2012) a quello in cui sono venuti meno i requisiti di accesso.
Diverso trattamento, invece, va applicato in caso di conseguimento, nel corso del periodo d’imposta, di ricavi o compensi superiori a 45.000 euro, ipotesi in cui l’esclusione dal regime opera nell’anno stesso in cui è stato raggiunto tale limite. In tal caso, come precisato dall’Agenzia delle Entrate, è dovuta l’IVA relativa ai corrispettivi delle operazioni imponibili effettuate nell’intero anno solare, determinata, per le fatture emesse nella frazione d’anno antecedente il superamento del predetto limite, mediante scorporo dal corrispettivo indicato in fattura.

ABROGAZIONE DEL DPS IMMEDIATAMENTE OPERATIVA


 Il DL 5/2012 (cosiddetto “Decreto semplificazioni”) – ancora in corso di conversione – contiene misure urgenti in materia di semplificazione e sviluppo.

Tra le semplificazioni, si segnala l’abrogazione dell’obbligo di redazione o aggiornamento del Documento Programmatico sulla Sicurezza (DPS), prescritto dal Codice della privacy e, conseguentemente, dell’autocertificazione sostitutiva del DPS laddove consentita.
Con la soppressione del DPS viene meno anche l’obbligo da parte del titolare di riferire nella relazione accompagnatoria del bilancio di esercizio, se dovuta, dell’avvenuta redazione o aggiornamento del DPS.
L’art. 45, comma 1 lett. c) e d), del DL 5/2012 ha soppresso, infatti, tutte le previsioni contenute nel Codice delle privacy che si riferiscono al DPS, quindi l’art. 34, comma 1 lett. g) e comma 1-bis, del DLgs. 30.6.2003 n. 196 e i paragrafi 19-19.8 e 26 dell’allegato B del decreto (Disciplinare tecnico in materia di misure minime di sicurezza).
Per il legislatore – così si legge nella relazione governativa – l’obbligo di predisporre e aggiornate il DPS rappresenta un adempimento meramente superfluo che, peraltro, non realizza un’effettiva tutela della sicurezza dei dati e dei sistemi informatici.
A tal riguardo, si ricorda che la tenuta di un aggiornato DPS costituiva una misura “minima” di sicurezza prevista, in relazione all’obbligo generale di protezione dei dati personali.
L’obbligo di adozione della misura minima della tenuta di un aggiornato DPS ricorreva in caso di trattamento di dati personali “sensibili” o giudiziari con strumenti elettronici (ad esempio, il computer). Soggetto obbligato alla redazione del DPS era il titolare dei trattamenti, anche attraverso il responsabile, se designato.
Il DPS andava redatto o aggiornato entro il termine annuale del 31 marzo, conservandolo presso la propria struttura ed esibendolo in caso di controllo. Il DPS non andava inviato al Garante della privacy.
Per la mancata redazione o il mancato aggiornamento del DPS, il Codice prescriveva l’applicazione di sanzioni amministrative e penali.
Viene abrogato il DPS, ma restano obbligatorie le altre misure minime di sicurezza
È bene precisare che il DPS è solo una delle misure minime di sicurezza a tutela dei dati personali. In altre parole, il DL 5/2012 ha solo eliminato il mero obbligo di documentare l’adozione delle misure minime di sicurezza per il trattamento di dati “sensibili” o giudiziari con strumenti elettronici mediante la redazione del DPS. Le altre misure di sicurezza, previste dalla normativa vigente in materia di sicurezza del trattamento dei dati personali, invece, non vengono abolite e restano obbligatorie (ad esempio, occorre ancora prevedere un sistema di autenticazione informatica, procedere all’aggiornamento almeno annuale dei programmi volti a prevenire la vulnerabilità degli strumenti elettronici, provvedere a copie di back up almeno con frequenza settimanale).
Per quanto riguarda il regime di decorrenza, il DL 5/2012, entrato in vigore il 10 febbraio 2012, non prevede una disposizione specifica. Pertanto, si riterrebbe che l’abrogazione dell’obbligo di redigere o aggiornare il DPS sia immediatamente operativa.
Ciò vuol dire che non si deve più procedere alla redazione o all’aggiornamento del DPS o della relativa autocertificazione sostitutiva entro il prossimo termine di scadenza del 31 marzo 2012.
Inoltre, non è più necessario procedere ad alcuna indicazione nella relazione accompagnatoria del bilancio di esercizio 2011.
L’abrogazione dell’obbligo della redazione/aggiornamento del DPS, anche se immediatamente operativa, è subordinata alla conversione in legge del DL 5/2012. La mancata conversione comporterebbe, infatti, la caducazione fin dall’origine dell’abrogazione dell’obbligo stesso con l’applicazione delle relative sanzioni, eccetto il caso in cui un’apposita disposizione di legge faccia salvi gli effetti del decreto decaduto.

venerdì 24 febbraio 2012

Comunicazione annuale dati iva 2012 sul 2011: Chi, quando, come, scadenza ed esonero della dichiarazione

La nuova comunicazione annuale dati iva è in scadenza per il 29 febbraio 2012 dovrà contenere i principali dati riepilogativi delle operazioni effettuate imponibili, non imponibili ed esenti effettuate nell’anno precedente: qui trovate la guida su chi, quando, come, effettuare la presentazione ed i casi di esonero della comunicazione annuale dati iva 2012.
Importante: questa è la comunicazione annuale dati iva che non ha finalità liquidatorie al contrario della dichiarazione annuale iva in cui si indicheranno molti più dati e si pagherà saldo e acconto Iva.
I soggetti titolari di partita iva dovranno predisporre la comunicazione annuale dati iva sulla base dei dati dell’anno di imposta 2011 entro la scadenza del 29 febbraio prossimo senza effettuare alcun pagamento e così ogni anno a meno di modifiche.
I soggetti obbligati alla presentazione della comunicazione annuale dei dati iva sono tutti i titolari di partita iva che sono al tempo stesso obbligati alla presentazione della dichiarazione Iva eccetto i casi di esonero indicati qui sotto a titolo di esempio.
I soggetti esonerati alla presentazione della comunicazione annuale dati iva ( e non dichiarazione Iva) sono:
·                                 I soggetti esplicitamente esonerati per disposizione normativa;
·                                 I titolari di partita iva che fanno solo operazioni esenti dall’imposta (esempio medici, guide turistiche, ecc ecc) ma solo se effettuano esclusivamente prestazioni esenti, non soggette non imponibili o fuori campo iva. Le operazioni esenti le potete trovare riepilogate nell’articolo 10 del Dpr 633 del 1972.
·                                 Titolari di partita iva che hanno fatto opzione per la non applicazione dell’imposta ex art. 36-bis del DPR 622 del 1972 e anche se sono tenuti comunque alla presentazione della dichiarazione annuale iva o modello Iva.
·                                 Sono esonerati anche i produttori agricoli ex art 34, c.6 del dpr 633 del 1972 e sempreché nell’anno di imposta abbiano avuto un volume d’affari inferiore ai 7.000;
·                                 Titolari di partita IVA che dovranno presentare la comunicazione iva perché esercitano attività di organizzazione di giochi, di intrattenimenti ed altre attività indicate nella tariffa allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, quali coloro che svolgono esecuzioni musicali di qualsiasi genere, ad esclusione dei concerti musicali vocali e strumentali, e trattenimenti danzanti anche in discoteche e sale da ballo quando l’esecuzione di musica dal vivo sia per di durata inferiore al cinquanta per cento dell’orario complessivo di apertura al pubblico dell’esercizio, utilizzazione dei bigliardi, degli elettrogrammofoni, dei bigliardini e di qualsiasi tipo di apparecchio e congegno a gettone, a moneta o a scheda, da divertimento o trattenimento, anche se automatico o semiautomatico, installati sia nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia in circoli o associazioni di qualunque specie; utilizzazione ludica di strumenti multimediali gioco del bowling, noleggio gokart, ingresso nelle sale da gioco per scommesse, esercizio del gioco nelle case da gioco o altri locali
·                                 Titolari di partita iva che dovranno presentare la comunicazione iva annuale ed hanno dato in affitto l’unica azienda nonchè le imprese individuali che abbiano dato in affitto l’unica azienda e non hanno effettuato altre operazioni che rilevano ai fini iva
·                                 I titolari di partita iva che però hanno esercitato l’opzione per le dispense per i soggetti che percepiscono proventi da prestazioni connesse ad operazione per scopi istituzionali
·                                 I soggetti considerati fiscalmente residenti all’estero e fuori dalla comunità economica europea che si sono identificati ai fini iva ex art. 74 quinques e che effettuano prestazioni tramite mezzi elettronici a soggetti non titolari di partita iva e residenti all’estero non soggetti passivi d’imposta in italia o in un altro stato membro della comunità economica europea.
·                                 I soggetti che seppur titolari di partita iva che sono organi dello Stato, amministrazioni dello Stato, comuni, consorzi tra enti locali, associazioni e enti gestori di demani collettivi, comunità montane, le province e le regioni, enti pubblici che svolgono funzioni statali, previdenziali, assistenziali e sanitarie, comprese, aziende sanitarie locali, i soggetti sottoposti a procedure concorsuali;
·                                 Soggetti (persone fisiche) che seppur titolari di partita iva hanno realizzato nell’anno un volume d’affari inferiore ai 25.000 e anche se sono tenuti alla presentazione della dichiarazione annuale dei dati iva con il modello iva che potete trovare nella sezione moduli da scaricare. 
·                                 Non sono obbligati alla presentazione della dichiarazione iva, anzi della comunicazione annuale dei dati iva sull’anno precedente nonchè i soggetti che hanno aderito al regime naturale dei professionisti ossia il regime dei minimi, ma [anche coloro che hanno aderito al regime delle nuove iniziative imprenditoriali ex art. 13 della L.388 del 2000 purchè con volume d'affari inferiore ai 25.822,84];
·                                 Le persone fisiche titolari di partita Iva che presentano la dichiarazione annuale entro la fine del mese di febbraio (grazie P.): vedere anche la nuova circolare dell’agenzia delle entrate numero 1 del 2011 a tal proposito.
·                                 Dal prossimo anno saranno esonerati anche i soggetti che presentaranno la dichiarazione annuale Iva autonoma entro l’ultimo giorno del mese di febbraio perchè risultanti a credito (novità introdotta con la finanziaria 2010 che ha previsto l’esonero dalla comunicazione annuale dati iva annuale nel caso in cui si decida di presentare la dichiarazione annuale dati iva separata da Unico);
Saranno obbligati alla presentazione della comunicazione annuale dei dati iva i titolari di partita iva sulla base dei dati iva dell’anno precedente coloro che hanno registrato operazioni intracomunitarie (art. 48, comma 2, D.L. 331 del 1993) oppure abbiano effettuato operazioni in regime di reverse charge.
Cosa va indicato nella comunicazione annuale dati iva 2011
Nella comunicazione andranno indicati tutte le operazioni effettuate nel corso dell’anno e quindi dalle risultante delle liquidazioni periodiche, eventuali conguagli, l’iva detratta nel corso del’anno in modo da determinare l’iva eventualmente dovuta o da utilizzare a credito o in compensazione nelle liquidazioni periodiche dei mesi successivi senza tener conto delle eventuali operazioni di rettifica e di conguaglio del calcolo del pro rata definitivo mentre non si dovranno indicare le compensazioni iva effettuate nel corso dell’anno, l’iva a credito risultante dal periodo precedente, i rimborso infrannuali.
Quando e come presentare la comunicazione annuale dati iva 2011
La scadenza per la trasmissione telematica del modello per la comunicazione annuale dati IVA  è del 28 febbraio e può essere presnetate con le stesse modalità previste per la dichiarazione annuale dati iva ossua tramite Fisconline ed Entratel o direttamente dal contribuente o tramite intermediari abilitati (scelta consigliata). Essendo la scadenza della comunicazione annuale dati IVA perentoria dovrebbero essere comminate sanzioni amministrative o multe per l’omesso o il ritardo nella comunicazione da 258 a 2.065 euro.
Aggiornamento dopo il Pacchetto Vat 2010: vi consiglio di rivedere le operazioni da inserire nella comunicazione annuale Iva alla luce delle modifiche che hanno interessato l’identificazione dei soggetti obbligati al pagamento dei tributo nei criteri di identificazione. Questo perchè alcune operazioni che precedentemente erano consideratoe non imponibili ora sono da considerarsi come fuori campo Iva e non rientreranno nel volume d’affari Iva. Parlo in particolare dei servizi legati alle prestazioni accessorie sui trasporti intracomunitari come lavorazioni e trasporto di merci e che ora proprio in virtù di questo non entreranno nella comunicazione.
Il nuovo modello di comunicazione annuale dati IVA deve essere presentato esclusivamente in via  telematica,  entro  il  mese  di  febbraio dell’anno successivo a quello a cui si riferisce e occhio sempre al giorno di scadenza che laddove coincida con un giorno festivo slitta a quello lavorativo successivo. La presentazione telematica può avvenire:
·                                 direttamente a cura del contribuente
·                                 tramite intermediari abilitati.
La prova  della  presentazione  della  comunicazione  dati  IVA  è  data dall’attestazione rilasciata dall’Agenzia  delle  Entrate  che  ne  conferma l’avvenuto ricevimento. Tale  attestazione  è  trasmessa  telematicamente  all’utente   che   ha effettuato l’invio entro cinque giorni lavorativi successivi alla ricezione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, della comunicazione dati suddetta.
Se non presento la comunicazione annuale dati iva o la presento in ritardo
Se non invio la comunicazione non sono soggetto a sanzioni: l’unica cosa è che in caso di omissione della comunicazione  o  dell’invio  della stessa con dati incompleti o inesatti si applica la sanzione  amministrativa da 258 a 2.065 euro.
Modello e Istruzioni sono disponibili sul sito dell’agenzia delle entrate.

mercoledì 22 febbraio 2012

PER LA SRL SEMPLIFICATA, OCCORRE IL DECRETO


L’art. 3 del DL n. 1/2012 ha introdotto per i giovani “under 35” un nuovo tipo di società, la società semplificata a responsabilità limitata di cui al nuovo art. 2463-bis c.c.
Semplificata, come noto, in punto regime agevolato previsto dal Legislatore per le formalità di costituzione.
Tale prescrizione già immediatamente operativa dal 24 gennaio 2012, data di entrata in vigore del DL 1/2012, è stata però di fatto limitata dallo stop dato dalle Camere di Commercio per l’iscrizione nel Registro delle imprese.
In attesa, infatti, del decreto attuativo che predisporrà lo statuto standard della società e che individuerà anche i criteri di accertamento delle qualità soggettive dei soci, sembra che le Camere di Commercio abbiano bloccato l’iscrizione nel Registro delle imprese di tale nuova tipologia societaria (si vedano le note informative diramate dalle Camere di Commercio, ad esempio, di Milano, Torino, Roma e Venezia).
Il decreto andrà emanato entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione del DL n. 1/2012, termine per la conversione previsto per il prossimo 24 marzo 2012 e attualmente all’esame del Senato (A.S. 3110).
Secondo le Camere di Commercio, le domande presentate prima dell’emanazione del predetto decreto attuativo saranno così rifiutate.
Ma veniamo ai punti fondamentali della srl semplificata: avere meno di 35 anni e possibilità di prevedere un capitale sociale minimo di un euro quale importo di valore simbolico, sottoscritto e interamente versato alla data della costituzione.
Per la sua costituzione, con contratto o con atto unilaterale (quindi, la società può essere anche unipersonale), basta una scrittura privata da depositare nel Registro delle imprese entro 15 giorni a cura degli amministratori a mezzo della procedura di comunicazione unica, esente da bolli e diritti di segreteria. Nei 15 giorni successivi, il Registro delle imprese accerta le condizioni e iscrive (non per ora almeno) la società. In mancanza, il Giudice del Registro, adito da uno degli amministratori, verificata la sussistenza dei presupposti e ordina con decreto l’iscrizione.
A tal proposito, anche in considerazione della ratio sottesa alla norma, ossia favorire l’iniziativa imprenditoriale dei più giovani e meno abbienti tramite la partecipazione a strutture associative senza i limiti rigorosi previsti per le società di capitali, per la costituzione della società non dovrebbe occorrere l’intervento del notaio. L’atto costitutivo deve essere redatto per scrittura privata: pertanto, non servirebbe l’atto pubblico né la scrittura privata autenticata (così la Camera di Commercio di Venezia). È stato osservato, però, che sarebbe opportuna – stando alle osservazioni poste nella scheda di lettura al Ddl. di conversione del DL n. 1/2012 (A.S. 3110), elaborato dal Servizio Studi del Senato – una formulazione normativa più chiara, anche alla luce della portata generale dell’art. 11, comma 4, del DPR 581/95, ai sensi del quale l’atto da iscrivere nel Registro delle imprese deve essere depositato in originale con sottoscrizione autenticata se si tratta di scrittura privata non depositata presso un notaio e, negli altri casi, in copia autentica. Così, in sede di conversione in legge, si richiama la precisazione proprio di tale ultimo punto, e cioè se per il riferimento alla “scrittura privata” contenuta nell’art. 3 del DL 1/2012 debba intendersi la sufficienza della scrittura privata semplice o la necessità dell’autentica per l’iscrizione nel Registro delle imprese.

VERSO IL TERZO PRINCIPIO CONTABILE PER GLI ENTI NON PROFIT


Il cosiddetto “terzo settore” ricopre per il nostro Paese un ruolo fondamentale, sia per quanto riguarda l’aspetto sociale, sia per quanto concerne l’impatto economico e finanziario dell’attività svolta. Basti pensare che, secondo le ultime rilevazioni, sono operativi sul territorio nazionale più di tre milioni di volontari e la ricchezza prodotta dal movimento delle organizzazioni impegnate nel non profit è quantificabile nel 4% circa del PIL.
Gli enti non profit non hanno assetti proprietari ben definiti e l’elemento della trasparenza e dell’accountability appare perciò cruciale: coloro che sono chiamati a gestire le risorse di tali organizzazioni sono tenuti ad “agire” per perseguire le finalità dell’ente, rappresentanti le aspirazioni degli stakeholder che, a vario titolo, interagiscono con l’ente.
In questa prospettiva, il ruolo del professionista è essenziale. Suo il compito di portare la propria professionalità all’interno di strutture spesso carenti dal punto di vista dell’organizzazione, della conoscenza delle disposizioni fiscali e giuridiche, della tecnica della rappresentazione economico-finanziaria e sociale. La condivisione di regole tecniche è un elemento imprescindibile per presentare documenti credibili e non semplici “strumenti di marketing”. La standardizzazione delle disposizioni che governano la redazione del bilancio – sia economico-finanziario che sociale – è un elemento di garanzia per chi legge, per chi vuole donare e per chi eroga contributi, oltre ad essere una soluzione ai problemi più ricorrenti per chi è tenuto a predisporre e/o controllare i conti annuali.
La definizione di disposizioni tecnico-contabili “standard”, tuttavia, non è sempre semplice, anche perché il terzo settore, prima ancora di essere un “settore”, costituisce un movimento di organizzazioni che operano nei più svariati campi del mondo-sociale; la rendicontazione di una casa di cura trova, in effetti, apparentemente pochi punti in comune con l’associazione culturale o con la fondazione culturale.
Il Tavolo tecnico con Agenzia per il Terzo Settore e l’Organismo Italiano di Contabilità (OIC) è nato, propriamente, per la statuizione di “principi contabili nazionali per gli enti non profit”. Curiosità piacevole è che i componenti del Tavolo tecnico, designati dai tre organismi, sono tutti dottori commercialisti iscritti al relativo Albo.
Fino ad oggi sono stati emanati due principi contabili, e precisamente:
- primo principio contabile: “Quadro sistematico per la preparazione e la presentazione del bilancio degli enti non profit”;
- secondo principio contabile, in fase di consultazione: “L’iscrizione e la valutazione delle liberalità nel bilancio d’esercizio degli enti non profit”.
L’emanazione di tali norme segue un iter procedurale assimilabile, laddove possibile, a quanto previsto per i principi contabili nazionali per le imprese: in estrema sintesi, il Tavolo tecnico prima emana una bozza per pubblici commenti e, dopo un periodo di consultazione pubblica, tenendo in considerazione le osservazioni pervenute, il testo definitivo.
I principi contabili emanati dal Tavolo tecnico saranno tradotti in inglese per essere sottoposti, con l’ausilio delle strutture e organizzazioni competenti, all’attenzione e al confronto degli altri Paesi europei.
Il secondo principio contabile ha lo scopo di definire alcune linee guida da seguire nel processo di iscrizione e valutazione delle “liberalità” vincolate e non vincolate, le liberalità condizionate, le liberalità destinate a enti terzi e oggetti d’arte nel bilancio d’esercizio degli enti non profit (ENP), al fine di fissare trattamenti contabili uniformi e migliorare la comparabilità dei dati degli enti che operano nel terzo settore. Il documento pone particolare attenzione alla rilevazione delle liberalità ricevute da parte degli ENP e alla valutazione iniziale. Infatti, si statuisce che i beni  “liberalità non monetarie” sono iscritti in sede di rilevazione iniziale coerentemente con la loro natura e tipologia:
- al fair value identificato dal valore di mercato o da altro valore capace di rappresentare i benefici economici che affluiscono all’ENP per mezzo di tale bene;
- qualora il fair value non fosse reperibile per i beni immobili, al valore catastale.
Nel caso in cui il valore del bene non sia stimabile in modo attendibile, il bene non è iscritto nello Stato patrimoniale, ma illustrato nelle sue caratteristiche generali in Nota integrativa. Il principio esamina e approfondisce, inoltre, le problematiche inerenti alla contabilizzazione delle “liberalità”, nella prospettiva in cui l’ENP utilizzi un sistema contabile articolato sulla “competenza economica”, così come previsto dal primo principio contabile, individuando disposizioni tecniche anche per gli ENP che adottano un sistema di rilevazione per flussi di cassa.
Il Tavolo tecnico è all’opera per definire argomenti e contenuti del “terzo principio contabile degli ENP”.

martedì 21 febbraio 2012

SEMPLIFICAZIONI FISCALI, PRIMO «PACCHETTO» AL CONSIGLIO DEI MINISTRI DI VENERDÌ


Prima le semplificazioni, poi, a maggio, l’attuazione della delega per la riforma fiscale, attraverso la quale “legare” la lotta all’evasione al calo dell’IRPEF.
In sintesi, stando alle ultime indiscrezioni, sarebbe questo il piano del Governo, che, per adeguare il sistema fiscale italiano nell’ottica della funzionalità e dell’equità, dovrebbe lavorare su quattro fronti:
 - semplificazioni;
- calo IRPEF con lotta all’evasione;
- tagli alle agevolazioni inutili, senza un nuovo aumento dell’IVA;
- riforma del Catasto.
Venerdì dovrebbe approdare, in Consiglio dei Ministri, un “primo pacchetto”, sotto forma di decreto, come ha annunciato il premier Mario Monti parlando alla Borsa di Milano. Il punto di partenza – ha spiegato – è rendere “la vita più facile ai contribuenti onesti”. Poi, si punterà “a far affluire ai contribuenti onesti in forma di minor aggravio fiscale, man mano che sarà possibile, il gettito della lotta accresciuta contro l’evasione”.
Per ciò che concerne il provvedimento all’esame dei CdM di venerdì, esso potrebbe chiarire che la prima rata dell’IMU del 16 giugno si dovrebbe pagare considerando le aliquote base (4 per mille per la prima casa e 7,6 per mille per gli altri immobili) e versando la metà dell’importo annuale. I Comuni, infatti, dovrebbero poter decidere di modificare le aliquote fino a tutto il mese di giugno e, in tal caso, i cittadini ne dovrebbero tener conto nel saldo di dicembre.
Ancora, la detrazione familiare prevista dovrebbe valere una sola volta per nucleo familiare e potrebbe arrivare di nuovo la dichiarazione ICI (ora IMU) nel caso di cambiamento della titolarità dell’immobile.
Nel provvedimento potrebbe poi trovare spazio la riscossione: nel caso di pignoramento, infatti, l’imprenditore potrebbe essere nominato custode dei beni strumentali pignorati, in modo che ci sia continuità produttiva (e si possa pagare il debito con il Fisco).
Il decreto non dovrebbe prevedere una quantificazione degli incassi, ma di certo contenere norme di lotta all’evasione, come la reintroduzione dell’elenco “clienti e fornitori”, la comunicazione di operazioni tra partite IVA superiori a 3.000 euro, un aumento delle multe per chi esporta capitali all’estero, l’ingresso nell’elenco dei contribuenti “a rischio”, controllati quindi ogni anno, dei soggetti che vengono sorpresi a non staccare scontrini o non rispondono ai questionari sugli studi di settore. Oltre a una “stretta” sui bookmaker illegali, potrebbero poi esserci novità per gli acconti IRES e potrebbe aumentare la soglia minima per le contestazioni al Fisco: norma, quest’ultima, che non dovrebbe valere per chi arrotonderà gli importi da pagare in modo “seriale”.
Invece, in relazione all’attuazione delle delega fiscale, per la quale, come tempi, si parla del mese di maggio, una delle misure potrebbe consistere nell’ipotesi, strettamente legata ai risultati della lotta all’evasione, di una riduzione dell’aliquota IRPEF più bassa al 20%, per la quale servirebbero però 15 miliardi. Potrebbe quindi essere più probabile che la semplificazione dell’aliquota passi anche attraverso un ridisegno delle diverse classi di reddito, magari con un allargamento del primo scaglione per far rientrare più cittadini nella fascia meno tassata.
A ciò dovrebbe accompagnarsi il taglio lineare delle detrazioni e deduzioni fiscali, onde evitare l’aumento dell’IVA dal 21% al 23% a ottobre. Il Governo punterebbe infatti a una selezione delle “agevolazioni”, spesso affastellate nel corso degli anni, anche se non dovrebbero correre rischi quelle per famiglie, lavoratori e pensionati.
Infine, la riforma del Catasto, mediante la sostituzione dei vani catastali con i metri quadrati, con un adeguamento dei valori a quelli reali di mercato, ora 3,73 volte più alti. La riforma, però, che dovrebbe servire a riequilibrare gli estimi delle grandi città sperequati tra centro e periferia, sarebbe a costo zero: l’adeguamento della base imponibile dovrebbe essere accompagnato da una riduzione delle aliquote sulle imposte immobiliari.

lunedì 20 febbraio 2012

Crisi, mafia, speculazione sfuma l'oro verde di Vittoria

Chiuse 1.500 aziende, l'incubo sono gli ortaggi magrebini. Molti terreni rilevati da extracomunitari con grandi capitali. Il mercato è un far west gestito da 10 commissionari che impongono listini da fame dal nostro inviato ANTONIO FRASCHILLA

VITTORIA - La terra dell'oro sta diventando poco più che una miniera di carbone. Attraversando le distese di serre che digradano verso il mare, si vedono campi abbandonati e facce nuove: quelle degli immigrati, arrivati come braccianti e diventati padroncini. E oggi, il giorno dopo il via libera di Bruxelles all'invasione di pomodori e melanzane dal Marocco, i volti degli agricoltori sono ancora più tesi e preoccupati in questo triangolo una volta milionario tra Ragusa, Vittoria e Santa Croce Camerina.

Il Nord Africa fa sempre più paura: "Noi dell'associazione "Arcobaleno" - dice il presidente Carmelo Criscione - raggruppiamo 13 produttori per 70 ettari di serra e facciamo 3,5 milioni di fatturato. Vendiamo direttamente a grossisti tedeschi e riusciamo a piazzare il pomodorino anche a 1,30 euro al chilo. Ma oggi ho ricevuto una telefonata da un grossista tedesco: ti do un euro e dieci, mi ha detto, perché dal Marocco arrivano già a un euro".

Lo sconto dei dazi al Marocco avrà l'effetto di una mazzata in questo angolo di Sicilia che per anni ha prodotto una ricchezza smisurata sotto forma di pomodori a grappolo e oggi non garantisce più la sopravvivenza a un esercito di piccoli produttori che si va sempre di più assottigliando, visto che negli ultimi tre anni qui hanno chiuso i battenti 1.541 aziende sulle 10.500 attive nel 2009.

Ma che alimenta ancora il mercato dell'ortofrutta di Vittoria, il più grande del Sud e uno dei più importanti d'Europa, con un valore di merce acquistata pari a 250 milioni di euro, senza contare il sommerso. Un mercato attorno al quale orbitano 27 mila braccianti e 3.500 piccoli proprietari terrieri, che ieri con tre ettari avevano un reddito garantito di 250 mila euro e oggi non arrivano a fine mese, strozzati dall'aumento dei costi di produzione e da una doppia morsa: la giungla del mercato di Vittoria e una concorrenza internazionale sempre più forte.

Uno dei motivi della crisi è proprio il mercato di Vittoria. Una sorta di far west, gestito in parte da commissionari onesti in parte da una cartello "di una decina di persone che impone prezzi da fame ai piccoli produttori" e si arricchisce alle loro spalle, come denunciato da una recentissima indagine della Guarda di finanza. Le dieci persone in questione sono un gruppo di commissionari: figura, quest'ultima, che esiste a Vittoria e in nessun altro mercato ortofrutticolo del mondo.

Si tratta di intermediari che, in base a un regolamento datato 1971, fanno da tramite fra i commercianti e il piccolo produttore che ogni mattina alle 5 porta la sua merce al mercato. Ma che succede se qualche commissionario, come scoperto dalle Fiamme gialle guidate dal colonnello Francesco Fallica, è anche produttore e commerciante? Succede che fa i propri interessi e non quelli del piccolo agricoltore. Non a caso i reati contestati vanno dalla "truffa ai danni dei fornitori" all'estorsione, passando per il "ribasso fraudolento dei prezzi". E questo senza contare presenze inquietanti nel mercato, come quella del "figlio del noto Francesco D'Agosta, condannato per associazione mafiosa".

Il risultato è che ieri come sempre Giovanni è arrivato al mercato di prima mattina: "A quanto me le fate queste melenzane?", ha chiesto al commissionario. "65 centesimi al chilo", è la risposta, secca. "Ma come, a me sono costate 60 centesimi, che ci guadagno?", ribatte l'agricoltore. Dieci anni fa la stessa melanzana veniva venduta a 15 centesimi in più e il costo per produrla era di 15 centesimi in meno. Il guadagno, per l'agricoltore, è crollato da 35 a 5 centesimi. Lo stesso discorso vale per il pomodorino, che viene comprato dal produttore a 1,10 euro al chilo ma nei supermercati arriva a essere venduto anche a 3-4 euro. Adesso il Comune di Vittoria sta cercando di mettere ordine in questo suk nel quale è impossibile anche controllare la tracciabilità dei prodotti e sono stati denunciati casi di pomodoro tunisino mischiato con quello siciliano.

Nel mercato transita però solo il 60 per cento della produzione locale. Il resto viene commercializzato direttamente dalle poche organizzazioni di produttori che stanno cercando di fare sistema, dopo le fallimentari esperienze delle cooperative naufragate in crac clamorosi, come accaduto con la "Rinascita". Ma anche per i grandi produttori le spese sono aumentate: il concime costa 200 euro al quintale (tre anni fa appena 70 euro), la benzina agricola 70 centesimi al litro (tre anni fa 45 centesimi): "Ai costi occorre aggiungere l'elevato indebitamento di tutti gli imprenditori - aggiunge Criscione - e rimane un problema serio di infrastrutture". Le strade sono pessime, le buche non si contano più e ci sono poche aziende di trasporto, alcune poco raccomandabili.

Il risultato complessivo è che per la prima volta qualcuno ha venduto la terra dei propri nonni e dei propri padri. Una volta considerata il patrimonio di famiglia inalienabile, oggi la si mette all'asta. E a comprarla sono talvolta magrebini sbarcati qui trent'anni fa come braccianti: attualmente sono circa 800 le aziende tunisine e algerine, "e in alcune sedi come Santa Croce Camerina ormai il 50 per cento degli iscritti alle organizzazione dei produttori è straniero", dice Giuseppe Drago, segretario provinciale della Cia.

Ma dove prendono questi capitali gli immigrati? Il sospetto della Guardia di finanza è che, accanto agli onesti ex braccianti che hanno messo da parte quel poco di guadagno accumulato negli anni, alcuni siano solo "prestanome magari di commissionari o, peggio, di anonime srl". E, in Sicilia, si sa che spesso è la mafia ad avere capitali da investire. C'è poi un ultimo fenomeno che mai si era visto da queste parti: l'abbandono delle serre. Su novemila ettari in serra, circa il 10 per cento non è più coltivato.
[http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-palermo/2012/02/18/news/crisi_mafia_speculazione_sfuma_l_oro_verde_di_vittoria-30084256/?ref=HREC2-6]