martedì 24 gennaio 2012

L’accertamento è nullo se per l’accesso manca la richiesta al PM

È nullo l’avviso di accertamento fondato sulle risultanze di un accesso eseguito presso l’abitazione del contribuente se non è allegata agli atti la nota di richiesta al PM per l’autorizzazione all’accesso e da cui si possono desumere i “gravi indizi” di evasione addotti dal Fisco. Ciò in quanto, tale mancanza, non consente al Giudice tributario di verificare l’effettiva sussistenza di tali “gravi indizi” previsti dalla normativa sugli accessi domiciliari. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 631 del 18 gennaio 2012.
L’art. 52 del DPR 633/1972 dispone che l’accesso presso locali diversi da quelli di esercizio dell’attività del contribuente, ovvero di quelli ad utilizzo promiscuo, sia abitativo che lavorativo, può essere eseguito, previa autorizzazione del Procuratore della Repubblica, soltanto in caso di gravi indizi di violazioni delle norme tributarie. Sostanzialmente, per accedere legittimamente presso i predetti “locali diversi”, tra cui rientra l’abitazione del contribuente o gli altri suoi locali privati (box, cantine, ecc.), i funzionari o i militari procedenti devono attivarsi cronologicamente come segue: ottenere l’autorizzazione all’accesso rilasciata dal Capo Ufficio o dal Comandante del Reparto da cui dipendono; richiedere al Procuratore della Repubblica l’autorizzazione all’accesso domiciliare, indicando, in tale istanza, i “gravi indizi” di violazione delle norme tributarie rinvenuti nel corso delle indagini precedenti; ottenere l’autorizzazione del magistrato.
Dai fatti oggetto della pronuncia odierna, emerge che la nota con cui la Guardia di Finanza aveva richiesto al PM l’autorizzazione per accedere presso l’abitazione del contribuente, non era presente tra gli atti processuali, essendovi soltanto il foglio di autorizzazione del PM che probabilmente rinviava per relationem alla richiesta mancante (anche se dal testo della pronuncia non si desume con chiarezza tale aspetto). Peraltro, l’accertamento si fondava proprio sulle risultanze raccolte in sede di accesso, durante il quale era stata rinvenuta della documentazione extracontabile posta successivamente a base della pretesa impositiva.
Il contribuente fondava il suo ricorso introduttivo sull’illegittimità dell’accesso perché avvenuto in assenza di gravi indizi di evasione e per la mancanza della citata richiesta, non era neppure possibile desumere quali fossero stati quelli addotti dalla GdF. L’avviso di accertamento doveva quindi ritenersi nullo, fondandosi su un atto prodromico illegittimo. I giudici di primo grado, però, respingevano il ricorso.
Opponeva gravame il contribuente e la C.T. Reg. si pronunciava a suo favore, atteso che non era stato possibile verificare la sussistenza dei gravi indizi di evasione che avrebbero legittimato l’accesso, stante la mancanza agli atti della nota della GdF al PM.
L’Agenzia delle Entrate proponeva, allora, ricorso per Cassazione, censurando la decisione di merito con cui era stato posto a suo carico l’onere della mancata allegazione della richiesta della GdF al PM per l’accesso domiciliare, contenente, come già ribadito, l’illustrazione dei gravi indizi di evasione. Gli Ermellini, però, non hanno condiviso l’assunto della difesa erariale e, richiamando la loro consolidata giurisprudenza pregressa, hanno confermato il principio di sindacabilità degli atti impugnabili, di cui all’art. 19 del DLgs. 546/1992, tra cui rientra l’avviso di accertamento, anche per difetti o vizi di legittimità degli atti prodromici e strumentali del procedimento, ovvero degli atti cosiddetti presupposti che realizzino un collegamento funzionale con l’atto impugnabile, come avviene tra l’atto autorizzativo del PM e l’avviso di accertamento. Così l’eventuale giudizio negativo, in ordine alla regolarità formale o sostanziale di qualche atto istruttorio prodromico, determina, per il principio dell’illegittimità derivata, l’illegittimità stessa dell’atto finale impugnato (ex plurimis, Cass. SS.UU. n. 11082/2010, n. 6315/2009, n. 16424/2002; Cass. n. 21974/2009).
Secondo gli Ermellini, nel caso di specie, l’illegittimità dell’accesso, dovuta all’assenza della richiesta di autorizzazione della GdF al PM, contenente l’indicazione dei gravi indizi di evasione, previsti dalla norma per l’espletamento dell’attività ispettiva, riverbera i suoi effetti sull’atto consequenziale impugnato, rendendo anch’esso illegittimo.
L’odierna pronuncia consolida un filone giurisprudenziale della Suprema Corte che deve ritenersi ormai pacifico.
È opportuno notare, però, che il principio di illegittimità derivata, in base al quale è nullo l’atto impositivo fondato su materiale probatorio reperito durante un accesso domiciliare illegittimo, viene richiamato dalla Cassazione soltanto quando entrano in gioco i diritti costituzionalmente garantiti, come quello, appunto, dell’inviolabilità del domicilio, mentre viene “trascurato” quando subentrano interessi da tutelare forse minori, come dimostra la recente decisione per cui, la mancanza dell’autorizzazione del Capo Ufficio o del Comandante del reparto per l’accesso presso i locali aziendali, ancorché specificatamente richiesta dal già citato art. 52 del DPR 633/1972, non comporta la nullità dell’atto impositivo fondato sul materiale raccolto durante tale accesso illegittimo (cfr. Cass. n. 3388/2010)

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