giovedì 17 gennaio 2013

Ecolabel



 L'Ecoetichetta, Ecolabel nella dicitura inglese, è un marchio europeo usato per certificare (secondo il regolamento CE n. 66/2010) il ridotto impatto ambientale dei prodotti o dei servizi offerti dalle aziende che ne hanno ottenuto l'utilizzo.
È rappresentato da una margherita stilizzata avente le dodici stelle della bandiera dell'Unione europea come petali e, al centro, una E arrotondata.
La certificazione necessaria può essere richiesta, su base volontaria, da qualunque impresa o azienda appartenente ai 27 Stati dell'Unione europea come pure in Norvegia, Islanda e Liechtenstein.
L'Ecoetichetta è uno strumento volontario comunitario che certifica i prodotti ambientalmente compatibili, consentendo al consumatore di riconoscere attraverso un marchio il rispetto del’ambiente da parte del prodotto (o servizio) in tutto il suo ciclo di vita, che può così diversificarsi dai concorrenti presenti sul mercato, mantenendo elevati standard prestazionali ambientali. L'Ecolabel non si applica a prodotti farmaceutici e alimentari (settore per il quale è in corso di studio un’estensione del marchio).
Il rispetto dell’ambiente deve essere certificato attraverso una serie di criteri definiti per ogni categoria di prodotto, valutati sulla base di un’analisi della vita dei prodotti, sui costi di smaltimento, sugli imballi e sui consumi, secondo procedure normate nella ISO 14040. Queste procedure prevedono la determinazione da parte del produttore del grado di approfondimento necessario per l’analisi, la garanzia della qualità dei dati e della corretta interpretazione dei risultati; inoltre deve essere effettuata un’analisi dell’inventario che, per ogni fase di vita del prodotto, cataloghi tutti i flussi di materia e energia inerenti al prodotto, in modo da definire un bilancio di materia e di energia. La stima dell’impatto deve considerare tutti i processi relativi al prodotto e deve essere fatta anche in termini di contributo al surriscaldamento, al problema dell’ozono, all’eutrofizzazione, all’acidificazione, alla tossicità per l’uomo e per l’ambiente.
Per l’assegnazione del marchio Ecolabel l’azienda deve inviare domanda e documentazione al comitato preposto, il quale si avvale dell’ISPRA (Istituito superiore per la Prevenzione e la Ricerca Ambientale) per la verifica tecnica e le prove di laboratorio. I costi per l’adesione sono fissati e comprendono una quota istruttoria più un canone annuale di partecipazione, proporzionale al volume di vendita. La domanda deve contenere tutti i documenti, i certificati e le schede tecniche utili a stabilire che il prodotto rispetta i criteri stabili. L’utilizzo del marchio deve sottostare a un contratto ed è permesso per il solo prodotto richiedente, infatti è rilasciato per il prodotto e non per l’azienda. Sono previste delle agevolazioni particolare per chi richiede l'Ecoetichetta per un prodotto di un’azienda già registrata EMAS.

Cosa fa un Venture Capital



Un Venture capital è una società che ha come primario scopo quello di finanziare giovani imprese, soprattutto impegnate nei campi tech e biotech, in modo da far aumentare il loro valore e guadagnare sulla vendita delle azioni in loro possesso.
In Italia, questo tipo di finanziamenti, sta avendo un ottimo riscontro e molti siti sono stati lanciati grazie a questi grandi afflussi di denaro liquido.
Detto ciò, vediamo come funziona l'operazione di un Venture capital. La società di investimento, acquista una percentuale di minoranza dell'impresa da finanziare: in genere dal 5% al 40%, coinvolgendo una cifra che va dai 100 milioni fino ai 10 miliardi. In questo modo, l'imprenditore, senza avere messo fondi propri, ha un'ottima possibilità di realizzare le proprie idee, restando socio di maggioranza e avendo quindi il potere decisionale.
In genere, l'unica richiesta del Venture capital, è quella di avere uno o più rappresentanti nel Consiglio di amministrazione, che siano però un elemento unicamente consultivo del Venture capital.
La società finanziatrice, dopo un periodo che va dall'uno ai cinque anni, esce dal capitale dell'impresa finanziata, vendendo le azioni in suo possesso diverse soluzioni: Opv (offerta pubblica di vendita, nel caso in cui l'impresa fosse approdata in Borsa), vendita all'imprenditore stesso oppure vendita ad altre aziende interessate all'acquisizione della quota di minoranza.

Cosa cambia per le startup con il Decreto Crescita



La cosa più evidente, e nella sua semplicità davvero rivoluzionaria, è che per la prima volta viene introdotta una definizione di startup che abbia un valore normativo, al di là delle elucubrazioni degli addetti ai lavori. In gran parte il governo ha accolto qui i suggerimenti del rapporto Restart Italia!, di cui avevamo già parlato (e sarebbe stato strano il contrario, dopo che il gruppo di lavoro aveva lavorato diversi mesi a diretto contatto con il ministro).   

Quindi (art. 25): per potersi fregiare dell'appellativo di startup - e accedere quindi ai relativi finanziamenti - bisogna che l'atto costitutivo della società risalga al massimo a due anni prima; l'azienda non deve aver distribuito utili e avere un fatturato non superiore ai cinque milioni di euro, avere sede in Italia e rispondere ad altri requisiti inseriti per evitare che possano essere fatti " giochini", (ad esempio, il non essere frutto di cessione o fusione).  

Spunta anche l'" incubatore certificato"; oltre a essere definito come " una società di capitali di diritto italiano, o di una Societas Europaea, residente in Italia", si dice che " i requisiti che gli incubatori devono possedere sono legati alla disponibilità di risorse materiali e professionali per svolgere tale attività". Tradotto significa in pratica che l'incubatore deve disporre di immobili dove accogliere le nuove aziende, attrezzature adeguate, competenze, legami di collaborazione e partnership con Università e centri di ricerca. Tali requisiti verranno prodotti per autocertificazione.  
Un'ottima cosa, nel segno della trasparenza, è la creazione di una sezione apposita del Registro delle Imprese in cui dovranno obbligatoriamente iscriversi startup e incubatori. I soldi. Sono anche più quanto si era prefigurato in un primo momento (si mormorava di 60 milioni di euro). Invece, si legge nel documento: "per le startup vengono messi subito a disposizione circa 200 milioni di euro, tra i fondi stanziati dal decreto sotto forma di incentivi e fondi per investimento messi a disposizione dal Fondo Italiano Investimenti della Cassa Depositi e Prestiti (vedi update*).   

Nelle prossime settimane, con un apposito decreto ministeriale, saranno stanziate ulteriori risorse per nuove imprese presenti nel Mezzogiorno". La norma, a regime, impegnerà 110 milioni di euro ogni anno per incentivare le imprese innovative. A ciò si aggiunge la previsone, contenuta nell'articolo 30, di un canale agevolato di accesso al credito per le startup, che " potranno usufruire gratis e in modo semplificato del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, anche mediante la previsione di condizioni di favore in termini di copertura e di importo massimo garantito".  

Parecchie novità anche sul fronte dello snellimento burocratico e dei costi necessari per avviare l'attività: come l’esonero, per i primi quattro anni, dai diritti di bollo e di segreteria per l’iscrizione al Registro delle Imprese, e quello dal pagamento del diritto annuale dovuto alle Camere di commercio.  
Il governo ha accolto inoltre la proposta, avanzata dalla task force e mutuata dal modello anglosassone, di associare (art.29) al rischio di impresa dipendenti e collaboratori, tramite l'assegnazione di quote o azioni della startup. In pratica le persone vengono motivate a investire sul futuro dell'azienda, sperando di condividere magari oltre ai tempi duri, anche l'eventuale successo.   

Cambia anche la procedura del fallimento, uno dei peggiori spauracchi per chi voglia avviare un'impresa: nel caso delle startup, visto l'elevato e fisiologico tasso di mortalità, nel caso l'avventura non porti frutti, non si prevede la perdita di capacità dell’imprenditore ma la "mera segregazione del patrimonio destinato alla soddisfazione dei creditori" (art. 31).   

Dulcis in fundo, il ministro dello Sviluppo economico dovrà presentare entro il primo marzo di ogni anno una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni in materia di startup innovative, mettendo in rilievo soprattutto l’impatto di tali norme sulla crescita e l’occupazione.  


*Update  
La parte relativa ai fondi messi a disposizione dalla Cassa Depositi e Prestiti non ha poi trovato attuazione nel decreto vero e proprio, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Una delle critiche mosse al provvedimento finale è stata proprio quella di non prevedere un'iniezione diretta di liquidità nel sistema.

Redditometro: la Cassazione in aiuto ai contribuenti

La recente pronuncia della Corte di cassazione (sentenza n. 23554/2012) che, in modo esplicito, ha affermato la natura di presunzione semplice del redditometro, potrebbe, nella maggior parte dei casi, alleviare gli oneri dei contribuenti nel fornire elementi idonei a dimostrare che si sono prodotti redditi inferiori rispetto a quanto contestato.
Infatti, in tutte le ipotesi in cui questo maggior reddito deriva dall'applicazione degli indici statistici dovrebbe conseguire, pena la censura in sede giudiziaria, che l'Ufficio anche dopo il contraddittorio, fornisca altri riscontri idonei a integrare il risultato dell'elaborazione statistica.
Va detto, per completezza, che sinora, la maggior parte della giurisprudenza di merito, e anche altre pronunce della Cassazione, hanno ritenuto spesso indiscutibile il risultato derivante dall'applicazione dei coefficienti redditometrici addossando interamente sul contribuente l'onere di provare il contrario. Circostanza, questa, particolarmente ardua, per non dire impossibile, proprio perché gli indici erano obiettivamente poco precisi (avere una casa in un piccolo paese di montagna in provincia di Sondrio o al centro di Milano era la stessa cosa): non potendoli sindacare, la difesa era pressoché menomata.
Per il futuro, anche in considerazione della pronuncia della Cassazione di cui si è detto, le preoccupazioni di molti contribuenti potranno essere fondate, o meno, a seconda del comportamento che sarà assunto in concreto dagli uffici. Se, infatti, gli uffici assumeranno atteggiamenti come per il passato, ritenendo il valore da dichiarare risultante dai calcoli del tutto indiscutibile se non con elementi di segno contrario a carico del contribuente, ma spesso neanche considerati, non sarà facile, in molti casi, evitare il contenzioso.
Se invece gli uffici, mutando il comportamento assunto in questi anni, utilizzeranno l'elasticità necessaria che ogni strumento statistico - che si vuole applicare in modo massivo - richiede, allora il nuovo redditometro potrà rivelarsi utile nel contrasto all'evasione; soprattutto, per poter intercettare posizioni fiscali oggettivamente singolari e a rischio, e meritevoli di successivi approfondimenti.
Va detto, però, che la circostanza che i giudici di legittimità abbiano affermato la natura di presunzione semplice e quindi l'onere di provare il maggior reddito in capo all'ufficio, non deve automaticamente far sperare in un mutamento di posizione dell'amministrazione.
Infatti, per gli studi di settore, che ormai presentano molti punti di analogia rispetto al nuovo redditometro, nonostante siano addirittura intervenute le sezioni unite della Cassazione, ancora oggi si assiste a contestazioni esclusivamente sulla base del valore emergente dal calcolo statistico.

Previdenza complementare. Resoconto 2012



Chi è diffidente di natura non si lascia convincere quasi da nulla. E probabilmente non saranno le buone performance dei fondi pensione nel 2012 a spingere 12 milioni di lavoratori ad aderire a un fondo pensione, preferendo questi alla rivalutazione del Tfr in azienda o allo Stato (tramite il Fondo Tesoreria dell'Inps). Anche se i costi della previdenza complementare italiana sono tra i più bassi d'Europa, anche se la vigilanza delimita efficacemente inefficienze e comportamenti scorretti, il diffidente sa sempre trovare buoni motivi per dir di no: magari il fatto di non poter recedere dalla decisione di aderire a un fondo pensione, oppure la crisi in corso che mette a rischio molti posti di lavoro. Ciò per dire che non è normale essere ottimisti quando tutto va bene e pessimisti quando tutto va male.
Il principio di realtà e i fatti – al di là delle opinioni - sono fondamentali. La crisi spinge gli italiani a mettere da parte denaro liquido: i depositi presso le banche a fine 2012 sono cresciuti di 63 miliardi, +5,4% in un anno. Risparmio prudenziale, in caso di necessità o imprevisti. Che questo accantonamento da epoca di guerra sia coerente con le esigenze del presente è tutto da dimostrare ed evidenzia la difficoltà degli italiani di passare dall'accantonamento alla pianificazione di medio e lungo periodo: quando cioè sarà troppo tardi per rimediare scelte che si contruiscono nei decenni.
Le stime sulle pensioni che incasseranno i lavoratori oggi attivi saranno inevitabilmente rivisti al ribasso, visto che l'attuale recessione ridurrà il moltiplicatore dei contributi: questi, infatti, si rivalutano in base alla media mobile del Pil nominale. Chi oggi fa progetti sulla propria pensione, dovrà rivedere al ribasso le sue stime. Un esempio? Prendiamo un autoferrotranviere di 40 anni: basta una variazione negativa dell'1% nella media del Pil e il tasso di sostituzione cala di oltre il 5%. La via crucis del varo della cosiddetta "busta arancione" la dice lunga sulla difficoltà politica di dare cattive notizie. Essere previdenti rappresenta un buon paracadute rispetto a questo rischio molto concreto; e per questo è opportuno pianificare per il proprio futuro pensionistico, magari proprio con un fondo pensione, ossia con lo strumento dedicato alla necessità. Agli italiani piace far da soli, puntando magari al mattone, che sta avviandosi a un trend negativo importante. Meglio uno strumento specifico: chi chiamerebbe un impianchino per riparare un tubo rotto?
Ultima considerazione: i rendimenti presi qui in esame sono time weighted, ossia misurati in un arco di tempo e non tengono conto dell'effetto delle performance sui portafogli accumulati (money weighted). Analizzati in questo modo sono efficienti i fondi pensione? Basta chiederlo ai metalmeccanici che hanno aderito a Cometa nel 2007, anno della riforma del Tfr, e che hanno vissuto i cinque anni più pesanti della recente storia finanziaria: chi ha scelto il fondo pensione ha versato (nel comparto Reddito, ad esempio) 12.935 euro che rivalutati valgono oggi 16.051; chi invece avesse optato per il Tfr in azienda (o allo Stato) oggi avrebbe 13.644 euro.