mercoledì 7 marzo 2012

Incombe l'Ici sugli agricoli con effetto retroattivo


Gli effetti del decreto salva-Italia sul trattamento fiscale dei fabbricati rurali sono abbastanza chiari per quel che riguarda l'Imu, mentre suscitano molti interrogativi per quel che riguarda l'Ici.
Per l'Imu è evidente l'imponibilità dei fabbricati rurali, con aliquota ridotta per quelli che hanno i requisiti di abitazione principale e aliquota base per gli altri (salvi interventi agevolativi dei Comuni), mentre per gli immobili rurali strumentali vi è l'applicazione dell'apposita aliquota ridotta. L'individuazione di questi ultimi sarà possibile grazie al classamento in D/10 sia in seguito alla procedura innescata dal Dl 70/2011 che con i Docfa. In questo modo il legislatore ha accolto la tesi della Cassazione a sezioni unite n. 18565 del 2009: la ruralità dei fabbricati è comprovata dal loro classamento nelle apposite categorie catastali. Ha anche risolto il problema posto dall'agenzia del Territorio rispetto alla collocazione delle abitazioni nella categoria A/6. Resta il problema dei requisiti necessari per il riconoscimento della ruralità, ai fini dell'accatastamento, per i fabbricati a destinazione strumentale.
Molto più significativi potrebbero essere gli effetti del salva-Italia sull'Ici. L'introduzione della procedura di riconoscimento dei requisiti di ruralità da parte del Dl 70/2011 aveva spinto a ipotizzare una valenza retroattiva alla procedura stessa sulla base della richiesta del possesso dei requisiti di cui al comma 3 e 3-bis dell'articolo 9 del Dlgs 557/93 da almeno cinque anni. La tesi non era sostenibile in quanto la norma non prevede la validità retroattiva del nuovo classamento e una sua interpretazione estensiva sarebbe stata in contrasto con la costante giurisprudenza della Cassazione (n. 10646/2005 e n. 6627/2009) che ammette solo l'eventuale retroattività alla data di presentazione della denuncia (n. 12029/2009).
Il dubbio è tuttavia superato dal ripristino operato con il Dl 201/2011 con l'abrogazione della norma di interpretazione autentica che esclude l'imponibilità Ici dei fabbricati rurali. La Cassazione, in un'occasione molto simile relativa agli effetti determinati dall'abrogazione di una norma di interpretazione autentica (sentenza n. 13319/2006) ha affermato: «La natura interpretativa della norma di cui al citato comma... ne comporta la conseguente retroattività: la successiva norma abrogatrice non può che avere la medesima efficacia, retroagendo anch'essa al tempo della norma anteriore interpretata... in altri termini, l'intervenuta abrogazione ha reso la norma interpretativa, se così si può dire, una norma inutiliter data, restituendo inalterata la situazione alla precedente contrapposizione ermeneutica tra i diversi significati possibili attribuiti alla norma interpretata». Pertanto, l'abrogazione della norma di interpretazione autentica ripristina l'eventuale contrasto interpretativo preesistente.
Nel caso specifico, date le caratteristiche di fatto innovative della norma interpretativa, non ci sono dubbi circa la portata della norma (articolo 2, comma 1, lettera a) del Dlgs 504/92), che prevede l'imponibilità ai fini Ici di tutti i fabbricati iscritti o iscrivibili a catasto, compresi quindi anche i rurali. L'abrogazione ha valenza retroattiva, come chiarito dalla Cassazione, per cui appare del tutto irrilevante il fatto che la norma di abrogazione sia entrata in vigore il 1° gennaio 2012 e non il giorno della pubblicazione del decreto.
Sulla scorta di quanto sopra sembra quindi preferibile la tesi del ripristino dell'imponibilità dei fabbricati rurali ai fini Ici con valenza retroattiva

Verifiche fiscali, libero accesso presso locali utilizzati da ENC e Onlus


I militari e gli impiegati civili dell’Amministrazione finanziaria possono accedere, previa semplice autorizzazione del comandante o del capo ufficio, presso i locali utilizzati dagli enti non commerciali e dalle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS). A prevederlo è il Decreto “semplificazioni fiscali” (DL 16/2012), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 2 marzo scorso.
Come noto, la disciplina del potere di accesso presso i locali dei contribuenti è recata, ai fini IVA, dall’articolo 52 del DPR 633/1972, a cui peraltro rimanda l’articolo 33 del DPR 600/1973, per quanto concerne le imposte dirette. L’art. 52 citato individua sostanzialmente tre distinte categorie di locali di accesso, che risultano graduate in funzione della tutela offerta dall’ordinamento al soggetto sottoposto a controllo: nei locali destinati soltanto all’esercizio di attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, i verificatori possono accedere previa semplice autorizzazione del capo ufficio o comandante del corpo da cui dipendono; qualora i predetti locali siano, però, contestualmente adibiti anche ad abitazione (“ad uso promiscuo”), l’accesso richiede, oltre alla summenzionata autorizzazione “interna”, anche quella del Procuratore della Repubblica, che tuttavia si configura nella sostanza come un “atto dovuto”; infine, vi è la categoria “residuale” di accesso presso i “locali diversi da quelli indicati” in precedenza (abitazione, in primis), per cui è previsto che il potere in oggetto possa essere esercitato soltanto in presenza dell’autorizzazione “interna” e di quella del Procuratore della Repubblica, che però, in tale ipotesi, può essere rilasciata “soltanto in caso di gravi indizi di violazioni” delle norme tributarie.
L’accesso presso i locali degli enti non commerciali e delle Onlus, prima del Decreto sulle semplificazioni fiscali, era equiparato, come precisato nella relazione illustrativa, a quello presso il domicilio privato di un contribuente e, quindi, s’inseriva nella categoria residuale sopra illustrata. Pertanto, l’accesso presso tali enti, sotto il profilo della prassi operativa, era molto difficoltoso, atteso che richiedeva a priori che l’Amministrazione finanziaria individuasse i gravi indizi di violazione delle norme tributarie per ottenere l’autorizzazione all’accesso dal PM.
Con l’articolo 8, comma 22, del DL 16/2012, il Legislatore ha modificato il citato articolo 52 del DPR 633/1972, inserendo tra i locali appartenenti alla categoria per cui è necessaria la sola autorizzazione “interna” del capo ufficio o del comandante, ossia quelli destinati ad attività commerciali, agricole, artistiche o professionali, anche “quelli utilizzati dagli enti non commerciali e da quelli che godono dei benefici” di cui al DLgs. 460/1997 (si tratta delle agevolazioni previste dall’articolo 111-ter del TUIR, relative all’esenzione da imposte sul reddito, nonché dall’articolo 10 del DPR 633/1972, per talune esenzioni IVA).
Nella relazione illustrativa al DL 16/2012 è stato osservato che tale intervento si è reso necessario perché la particolare veste giuridica degli enti non commerciali e delle Onlus è stata “spesso indebitamente utilizzata” da soggetti che hanno mascherato vere e proprie attività commerciali, al fine di fruire delle agevolazioni fiscali previste dallo specifico regime di tali enti.

Tirocinio professionale a 18 mesi


Sulla riduzione del tirocinio professionale ad un massimo di 18 mesi, sancita dal Decreto liberalizzazioni (DL n. 1/2012), permangono forti perplessità. Lo dimostrano le richieste di chiarimenti inoltrate al CNDCEC dagli Ordini locali, poi confluite in una lettera che lo stesso Consiglio nazionale ha inviato ai Ministeri competenti – Giustizia e Università – lo scorso 28 febbraio 2012.
L’art. 9, comma 5 del Decreto liberalizzazioni stabilisce espressamente che la durata del tirocinio valido per l’accesso alle professioni regolamentate non possa essere “superiore a 18 mesi”, con la possibilità di svolgere i primi sei mesi, previa convenzione quadro tra MIUR e vertici di categoria, “in concomitanza col corso di studio” finalizzato al conseguimento di una laurea breve o della laurea magistrale/specialistica. Inoltre, è possibile siglare una convenzione con il Ministero della P.A. per svolgere il tirocinio nel pubblico. Il Decreto liberalizzazioni ha soppresso, infine, alcune disposizioni del DL n. 138/2011, tra cui l’obbligo di corrispondere al tirocinante “un equo compenso di natura indennitaria”.
Mentre, per quanto riguarda il tirocinio degli avvocati, la riduzione risulta di “soli” sei mesi (a fronte di una durata di due anni), ben maggiori sono le ricadute per i commercialisti, il cui praticantato viene così addirittura dimezzato. Senza dimenticare che l’intervento normativo rende obsoleta la convenzione quadro MIUR-CNDCEC stipulata nel novembre 2010, in base alla quale – dei tre anni complessivi di tirocinio – i primi due possono essere svolti contestualmente al corso di laurea specialistica/magistrale, e il terzo sotto la guida di un dominus.
Come si evince dall’Informativa n. 20/2012 del Consiglio nazionale, i dubbi principali riguardano la mancata previsione di una fase transitoria. Il termine ultimo per l’applicazione delle novità sulle professioni è fissato dal DL n. 138/2011 (conv. dalla L. n. 148/2011) alla data del prossimo 13 agosto 2012, ossia ad un anno esatto dall’entrata in vigore dello stesso DL. Ci si chiede, in ogni caso, se la riduzione del tirocinio di cui al DL n. 1/2012 – intervenuto in seguito appoggiandosi proprio al DL n. 138/2011 – sia da considerarsi immediatamente applicabile o meno.
A favore della tesi dell’applicabilità non immediata pende essenzialmente il fatto che il DL 138/2011 demanda a un DPR – da emanare entro e non oltre il 13 agosto 2012 – la riforma degli Ordini professionali, in sostanza mantenendo in vigore le regole attuali fino ad allora. D’altra parte, evidenzia il CNDCEC nella lettera ai Ministeri, il decreto legge non è uno strumento atto a dettare semplici norme di principio, perciò si potrebbe desumere che la norma del DL n. 1/2012 sia immediatamente percettiva.
Un’eventualità, quest’ultima, che secondo il Consiglio nazionale potrebbe comportare conseguenze “problematiche”. All’atto pratico, la prima delle questioni aperte concerne il caso dei tirocinanti che, alla data di entrata in vigore del DL n. 1/2012, avessero già compiuto 18 mesi di praticantato. Ciò tenendo conto, soprattutto, della Convenzione quadro MIUR-CNDCEC, che attualmente consente di poter svolgere i primi due anni durante l’ultimo biennio di università. Due le possibilità: la prima è che valga la normativa vigente al momento dell’iscrizione del Registro del tirocinio, e che quindi sia comunque obbligatorio completare i tre anni; la seconda, invece, stabilisce che il tirocinio possa concludersi in 18 mesi, svolti in concomitanza del corso universitario specialistico, senza perciò nemmeno aver ottenuto la laurea di secondo livello.
Restando ai problemi del “periodo transitorio”, rimane poi da capire come muoversi nei confronti dei tirocinanti che si siano iscritti nell’apposito Registro dopo il 24 gennaio 2012, data di entrata in vigore del DL n. 1/2012. Il Consiglio nazionale ipotizza che non possano più svolgere il praticantato ex Convenzione quadro MIUR-CNDCEC e che sia necessario siglarne quanto prima una nuova che tenga conto delle novità.
Evidente il vuoto normativo: non resta che sperare in una rapida risposta ministeriale.