lunedì 20 febbraio 2012

CARTELLE ALLA SOCIETÀ NON «IMPUTABILI» AL COMMERCIALISTA


Spetta alla società provare che le maggiori somme pretese dal Fisco sono colpa del commercialista.
A precisarlo è un’interessante sentenza del Tribunale di Genova del 20 gennaio scorso.
Nel caso di specie, una società agiva contro il suo ex commercialista (cui era stato affidato l’incarico di tenere la contabilità, procedere alla redazione delle dichiarazioni e provvedere alle attività prodromiche e consequenziali) ritenendolo responsabile dell’emissione nei propri confronti di talune cartelle esattoriali, in relazione alle quali lamentava di aver dovuto effettuare un non precisato esborso (per il quale si limitava a rinviare alle cartelle prodotte). Evidenziava, inoltre, il fatto di essere stata costretta a rivolgersi ad un altro commercialista, sopportando un onere economico da imputare anch’esso al professionista convenuto.
Quest’ultimo negava ogni sua responsabilità, affermando, tra l’altro, di essersi limitato a redigere le dichiarazioni sulla base di quanto gli veniva (spesso in ritardo) sottoposto.
Il Tribunale di Genova evidenzia, in primo luogo, come la domanda presentata dalla società fosse “molto prossima al limite della nullità per indeterminatezza dell’oggetto”. Ad ogni modo, la stessa è reputata erronea nella sua premessa. Non ha senso, infatti, l’affermazione per cui, ove assistita da un commercialista diligente, una società non possa essere destinataria di pretese tributarie diverse da quelle evidenziate dallo stesso nell’autoliquidazione delle imposte, con la conseguenza che sarebbe il commercialista a dover dimostrare che l’emissione delle cartelle esattoriali non dipende da una sua negligenza.
Ogni professionista è tenuto a dimostrare la propria diligenza solo nel caso in cui sia prima provato un vincolo di causalità materiale almeno tra la sua attività genericamente intesa e il danno (cfr., tra le altre, Cass. n. 27000 del 15 dicembre 2011). In particolare, avvisi di accertamento e riscossione forzata delle imposte possono dipendere da:
-         comunicazione di dati erronei al commercialista (con responsabilità del solo contribuente);
-         errore di autoliquidazione da parte del commercialista (con responsabilità dello stesso);
-         errore nell’attività di accertamento dell’Amministrazione finanziaria (errore da contestare innanzi al Giudice tributario);
-         errore di mero fatto nell’attività di riscossione (con responsabilità del concessionario);
-         mero mancato pagamento (con responsabilità del contribuente o di chi, dallo stesso, è incaricato dell’adempimento).
Il commercialista può entrare in gioco solo nella seconda e nella quinta ipotesi; ma di tutto ciò non vi è traccia nell’atto di citazione, dove ci si limitava ad accostare l’incarico conferito alle cartelle pervenute. Ciononostante – “per spirito conservativo”, si legge nella motivazione – il giudice genovese reputa implicite quelle che avrebbero dovuto essere le contestazioni nei confronti del commercialista ed affida ad un consulente tecnico il compito valutare la condotta del professionista. Ne emerge che l’emissione delle cartelle conseguiva solo ed esclusivamente da mancati pagamenti.
Il problema, allora, diviene semplicemente quello di stabilire se tale violazione era dipesa dalla predisposizione di modelli F24 erronei ovvero dalla mancata presentazione dei modelli medesimi. La società, però, non forniva alcuna prova della delega al professionista al pagamento delle imposte, mentre solo tardivamente sosteneva la tesi della erronea compilazione dei modelli. In relazione a tale aspetto, peraltro, il Tribunale osserva come occorra considerare che, qualora i versamenti non risultino in linea con l’autoliquidazione, l’Amministrazione finanziaria invia il cosiddetto “avviso bonario” (ex art. 36-bis del DPR 600/73), a seguito del mero controllo automatico, aderendo al quale il contribuente può mettersi in regola con un modesto onere aggiuntivo rispetto ai tributi effettivamente dovuti; e, quindi, le allegazioni teoricamente opportune avverso il professionista avrebbero dovuto comprendere anche l’occultamento degli avvisi bonari.
Da tutto ciò consegue il rigetto della domanda della società, anche nella parte relativa al compenso dovuto al nuovo commercialista. Non si comprende, infatti, osserva il giudice, come tale onere possa essere automaticamente imputato al professionista convenuto, senza chiarirne in alcun modo le responsabilità.

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